sabato 14 aprile 2012

Diaz, il film che tutti dovremmo vedere

DIAZ. Don't clean up this blood è un film da vedere. Se abitualmente andate al cinema, è facile che l'abbiate messo in programma, se ci andate poco, dategli la priorità. E non perché sia un capolavoro, quanto per il suo valore civile. Io sono andato a vederlo ieri sera.

 
L'avevo messo nel mirino già dal momento in cui avevo saputo che lo avrebbero realizzato e che il regista sarebbe stato Daniele Vicari, per me una garanzia. Così mi ci sono avvicinato senza leggere nulla, per non farmi influenzare.
Diaz è una botta, un calcio nello stomaco anche di noi spettatori. Non ricostruisce la catena delle colpe, ma ti sbatte in faccia l'abominio di quanto accaduto a Genova, in quella scuola e nel carcere di Bolzaneto. Lo fa in maniera tautologica, nel senso che non aggiunge nulla a quanto già, più o meno, sappiamo, abbiamo letto, ricordiamo. Ma è proprio in questo esplicitare la violenza di quei giorni di fine luglio la sua forza, il suo merito.

Io mi sono ritrovato a pensare: "Cazzo! avrei potuto esserci anche io lì". E non perché in quei giorni fossi al G8, ma se ci fossi stato, non sarebbe stato implausibile che finissi a dormire alla Diaz. Io in quei giorni stavo facendo lo stage al web della Stampa e ricordo l'uccisione di Carlo Giuliani vissuta tra tv e agenzie stampa, la concitazione e il nervosismo che c'era anche in redazione. E ricordo quando, la sera dopo, rientrato a casa, mi trovai a seguire i collegamenti tv dalla Diaz. Ancora non sapevamo, non potevamo capire l'orrore che vi si era appena consumato. Vedendo il film, sono tornato a quella sera e la rabbia è salita, assieme alla vergogna. Che tutto ciò sia evvenuto a pochi chilometri da casa nostra, nel nostro Paese, protagonista quella polizia di Stato che deve difenderci, mi fa davvero incazzare. E non c'è giustificazione che regga. E' stata violenza folle, lo sappiamo. E oggi le critiche da destra alla ricostruzione cinematografica mi fanno sorridere (fosse per loro probabilmente simili azioni andrebbero anche ripetute), così come quelle dell'estrema sinistra (ho fatto la mia tesi di laurea sul cinema italiano degli Anni 70 di impegno civile e politico e ho potuto constatare come avesse sempre qualcosa da eccepire, perfino su quei gioielli di Elio Petri con Gian Maria Volontè).

Non è un film facile da sopportare. Fa male. Il magone è lì che ti fa la posta e in più di un momento senti gli occhi che si gonfiano di lacrime. Ti muovi sulla poltrona del cinema, sei a disagio e vorresti, lo vorresti sul serio, che fosse solo finzione, che quanto stai vedendo fosse nato dalla penna di uno sceneggiatore. E invece no, cazzo, invece no. E' successo tutto per davvero. Vai a casa con quelle immagini stampate nella mente e rivedi quelle tremende sequenze, risenti il rumore delle botte e le urla, i lamenti di quei ragazzi. Ti resta l'amaro in bocca perché nessuno ha davvero pagato per quanto è successo. Anche chi è stato condannato ha avuto o sta per avere il culo salvo grazie alla prescrizione. E, allora, l'unico modo per fare giustizia è perpetrare il ricordo di quanto è successo alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto di Genova nel luglio 2001. Quel sangue non è da lavare.
Mai più, vi prego, mai più. Quella notte avete ucciso la mia generazione. E' una colpa da cui non sarete mai assolti.

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