domenica 11 dicembre 2011

Prendi questa mano (di botte), zingaro


In questi giorni si è fatto, giustamente, un gran parlare di quanto è accaduto a Torino, più precisamente alla Continassa, quartiere Le Vallette, a poca distanza dallo Juventus Stadium. L’assedio al campo nomadi abusivo, incendiato e devastato da un gruppo di esagitati violenti e ignoranti che volevano vendicare uno stupro (in realtà mai avvenuto) denunciato da una sedicenne terrorizzata dal dover confessare alla nonna di non essere più vergine (in Italia, a Torino, nel 2011!!!!). I volantini nel quartiere che chiamavano alla vendetta contro gli zingari, l’articolo su La Stampa in cui si accusano i rom, la spedizione punitiva, e le scuse e il mea culpa de La Stampa quando la ragazzina confessa di essersi inventata tutto.

In rete, su Twitter in particolare, si accende il dibattito, così come nella periferia torinese gli imbecilli avevano acceso baracche e roulotte. Si parla di pogrom, razzismo, ghetti, si polemizza e ci si indigna. Tanto. Sabato tiene banco l’hashtag #torinoburning. I torinesi per bene si vergognano, sono in imbarazzo: ma come, proprio a Torino? La città dei santi sociali, del Pci, delle lotte operaie, del contegno sabaudo, dell’Arsenale della pace, la roccaforte del centrosinistra nel Nord Italia? Sì, proprio quella. Che però è anche la città in cui, quando nel primo weekend di novembre la Stura è esondata investendo un altro campo abusivo di nomadi sulle sponde del fiume e costringendoli a lasciare le loro "case", un illuminato consigliere comunale leghista (non vale la pena citarlo per nome e cognome) aveva dichiarato con baldanza: la Stura ha fatto quello che il sindaco non riesce o sa fare fare. Insomma, una roba del genere.

Rom, sinti, khorakhanè, gitani: chiamateli come volete, che siano slavi o romeni, cristiani o musulmani, tanto per noi sempre zingari sono. Ma prendiamoci un attimo per riflettere: quanto la mancata integrazione è colpa nostra, quanto colpa loro? Chi di noi vorrebbe un campo nomadi a pochi metri da casa propria? Perché queste differenti culture non riescono a integrarsi? Io non ho risposte, ma voglio condividere con voi queste righe. E’ una “preghiera”, la prendo dal bel romanzo di Gianni Biondillo I materiali del killer (Guanda), alle pagg. 66, 67, 69, 71.

Dio padre onnipotente, padrone delle nostre anime e padre dell’Occidente, grazie di avere inventato gli zingari. Popolo inetto, nazione di servi, paria dell’umanità. Non ci hanno mai tradito, i nomadi, non ci hanno mai deluso. I terroni, puzzolenti e sfaccendati erano buoni per la bisogna, all’inizio, ma poi pure loro vollero uscire dalla fame e far studiare i figli. Terroni del cazzo, orda consumista, bacino di voti. Poi vennero gli albanesi, comunisti di merda, a frotte, a palate, e per un po’ avevamo un nemico comune da odiare…
Ti ringrazio Altissimo, benedico il tuo nome, ché hai esaudito le nostre preghiere di politicanti inetti. Gli ebrei ormai erano intoccabili – belli i tempi quando si poteva bruciare le loro sinagoghe, che nostalgia, che vergogna non poter rispettare le nostre antiche tradizioni nel nome del moderno mundialismo -, ma ci hai ascoltati, ci hai visto soffrire, e per questo ti accendo un cero ogni undici settembre, per il dono generoso del conflitto di civiltà, degli arabi terroristi, dei magrebini fanatici. I nostri nemici islamici sembravano perfetti ma anche loro non hanno retto, con le rivendicazioni, la cultura millenaria, gli affari internazionali, il petrolio. Infine, i rumeni, i bulgari, gli ucraini, cristiani come noi, certo, anche se sappiamo che sono solo stupratori e ubriaconi. Perché hanno insistito a badare ai nostri vecchi, a cadere dalle impalcature dei nostri cantieri? E i cinesi, piccoli sgorbi etti a mandorla, come si sono permessi, zitti zitti, di comprare i nostri bar, di lavorare come matti, peggio dei brianzoli, qui, nella terra dell’etica della sudditanza capitalista?
Ma tu, onnisciente, lo sapevi, e avevi fatto emigrare qui, sulle nostre terre, per noi, più di quattrocento anni fa, loro, gli zingari di merda, i topi di fogna, incapaci di cercare un’emancipazione, inabili a sognare un futuro di affrancamento. Un popolo eunuco, debole, inadeguato a combattere, schiavizzato, bruciato nei forni, emarginato, e mai una reazione, una battaglia, mai una guerra. Perfetti per noi. Grazie Padre Eterno per avermeli concessi lerci, accattoni, sgorbi, per averli resi ladri di pollame, topi d’appartamento. Se ho uno scolmatore del Seveso da costruire dato che esonda ogni anno e non lo faccio, se ho un collega di partito che ha intascato mazzette, se da decenni non edifico case popolari, se le periferie cadono a pezzi, se ho l’aria più inquinata d’Europa e non creo piste ciclabili e cementifico il poco verde residuo, se non realizzo nuovi asili nido, distruggo la scuola pubblica, mortifico i talenti, se mi dimostro talmente incapace di governare, retorico e inefficace, se sono un uomo pieno di difetti – chi non ne ha Signore dei cieli e della terra? – non posso che ringraziarti per avermi indicato la via maestra: appena ho un problema, appena il polso dell’indignazione televisiva batte un po’ meno a morto, mostro il pugno d’acciaio, il volto truce, sgombero a casaccio campi di zingari, sterco dell’umanità, demolisco il loro ciarpame pulcioso, li disperdo come scarafaggi, che tanto lo so che si troveranno di nuovo, da un’altra parte, odiati da tutti, attorno a un fuoco, a costruire baracche precarie, a mostrare la loro povertà nuda e scandalosa. Pronti per la prossima campagna elettorale dove diremo che è tutta colpa loro, che sono il male, che rubano i nostri figli, che sono sporchi, sudici, corrotti, immorali, depravati.
Adoro gli zingari e più sono antisociali, più sono ladri, più sono pulciosi, più sono esclusi e più ci servono. Mettiamoli al muro, nelle camere a gas, nei forni, i vecchi, le donne, i bambini, ma non tutti. Lasciamone un po’ a fottere come bestie, a riprodursi cine conigli. Abbiamo bisogno di loro più dell’acqua, più del cibo. Siamo d’accordo su tutti su questo. Sono il male necessario, il cemento della nostra Europa. Da nord a sud, da destra a sinistra, il fastidio della loro presenza – blatte dell’Occidente, piattole della civiltà – ci rende uniti, solidali, partecipi, ci rende popolo, stirpe, nazione. Loro sono il concime, e noi siamo il fango.


Notevole, no?

1 commento:

  1. Un po' noiosa questa lezioncina.

    Quello che ci sarebbe da capire è perchè l'intolleranza spesso esplode fra le classi sociali più in difficoltà, nei quartieri più poveri e fra la gente che non sta a guardare cognomi e pedigree ma bada al sodo e cerca di limitare al massimo i tanti problemi che già ha.

    Andrebbe capita meglio l'intolleranza delle vallette, perchè mi sa che è un problema concreto, qualcosa di ben diverso dalla snobismo insofferente delle madame in gran madre.

    Quando accadono cose come quella di sabato, penso sia necessario partire dai problemi reali che queste 2 comunità si trovano ad affrontare e che subiscono, piuttosto che riempirci la bocca con discorsi filosofici e antropologici che si risolvono con una sterile (seppur inappuntabile) condanna al razzismo.

    Perchè tutti sappiamo che è una cosa orribile, mostruosa e deprecabile avere l'idea di bruciare la casa di qualcuno. E facciamo bene a sdegnarci.
    Non tutti, però, sappiamo come sia vivere accanto a un campo nomadi.
    Quindi oltre a fare i paladini della minoranza in questione (che pure è giustissimo che vada difesa sempre, non solo in momenti drammatici coem quelli dell'altra sera)dovremmo capire perchè le relazioni si sono fatte così tese e impossibili. Attenzione non capire dove stanno i colpevoli, ma capire perchè ci sia questa impossibilità a convivere.

    Mi sono un po' stufato di un mondo diviso in razzisti e illuminati. Forse dovremmo capire cosa sta nel mezzo. Scrivere meno preghierine inutili e banali e lavorare per darci delle regole che siano comprese e accettate da tutti.
    Nei paesi anglosassoni ci riescono con grande semplicità. Si sfrozano come matti di darsi regole semplici, investono tanto per spiegarle, tengono conto dei diritti e delle culture che vivono un dato territorio. Ma alla fine decidono, e se non sai o non vuoi fare come tutti sei out.
    Questa è civiltà, non razzismo.

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