mercoledì 4 gennaio 2012

La classe operaia in paradiso non c'è andata. No no.

Se mi fermo un attimo. Se mi fermo e ci penso, mi assale un certo malessere, mi viene il forte dubbio che mica stiamo capendo fino in fondo, per davvero, com'è la situazione. Non riusciamo a focalizzare. Un po' per incoscienza, un po' per paura e un po' per menfreghismo stiamo andando avanti come nulla fosse. Badiamo ai casi nostri e tanto ci basta.



E, boh, io non ci piglio molto di cose economiche e meno ancora di finanza. Diciamola chiaramente, sono una capra, senza calcolatrice ho difficoltà anche a fare le addizioni, quindi non chiedete a me dati, cause e pretesto. Però, però, però, quasi tutti i giorni mi trovo a fare titoli o a scrivere di cassaintegrazione diversamente declinata, mobilità, licenziamenti, fabbriche che chiudono e di gente che non sa più dove sbattere la testa. I sindacati fanno quello che possono, il più delle volte non è sufficiente, nemmeno lontanamente, e girano con la bava alla bocca chiedendo lavoro. Qui da me sono scesi a patti con il diavolo e in nome dell'occupazione hanno dato il loro avvallo a due progetti industriali che avranno ripercussioni negative sull'ambiente. Ma quando hai fame (in questo caso di posti di lavoro) non è che puoi permetterti di fare anche il difficile. O, almeno, è così che la pensano loro.
Insomma, le piccole fabbriche continuano a chiudere e, talvolta, anche quelle non così piccole e c'è ben poco da stare allegri. Torna un vecchio quesito: può una società esistere senza produrre più beni materiali ma fornire solo servizi? In teoria sì, sempre che ci sia chi di quei servizi può usufruire e per i quali può pagare. Se però la gente resta senza occupazione, anche le esigenze si riducono a quelle primarie: mangiare, avere un tetto sopra la testa e potersi curare in caso di malattia. Così, ciao ciao servizi e ciao ciao Italia.

Negli ultimi giorni si sono succeduti atti di intimidazione, più o meno dimostrativi, alle sedi di Equitalia, su e giù per il Paese. Ne è seguito dibattito. Non che prima non se ne fosse già discusso, ricordo ad esempio una puntata di Report molto interessante e inquietante. Beppe Grillo, seppure un tanto al chilo come ama fare, ha chiesto di interrogarsi sul perché, sulle motivazioni che ci sono dietro la violenza, venendo subito subissato di critiche da destra e da sinistra perché così si sobillerebbe il terrorismo. Sarà, ma qua siamo al solito dito che indica la luna. Lungi da me, in questo post, andare ad analizzare la questione Equitalia, è un altro il ragionamento che muove queste mie righe. 
Sempre in questi giorni sotto i riflettori c'è la sempreverde polemica contro gli stipendi troppo alti dei politici, parlamentari in testa, che da questo orecchio però non ci vogliono sentire e, anzi, piangono miseria. Con poco rispetto per gli italiani, ma soprattutto per la loro e nostra inttelligenza. Perché, se chiudono le fabbriche, impiegati e operai perdono il lavoro, piccoli imprenditori si ammazzano perché non riscono più fare fronte ai debiti, i negozietti chiudono perché nessuno fa più la spesa, e se il precariato occupazionale è la condizione naturale dei giovani, allora la colpa è anche di una classe politica e di una classe dirigente palesemente incapaci. 

E, quindi, fosse anche un gesto simbolico, senatori ed onorevoli dovrebbero, da bravi, dare il buon esempio e togliere frecce alla feretra dei fan dell'antipolitica. Perché io nella politica credo, è importante e dovrebbe essere il faro guida del Paese. Sarà qualunquismo? Forse, ma mi sembra anche mera logica. Ma c'è un altro dato che vorrei evidenziare: non dobbiamo essere preoccupati per qualche bombetta anarchica o un paio di proiettili in una busta (che, sia chiaro, nessuno di noi vorrebbe), dobbiamo però essere contenti che qualcuno non abbia ancora ricominciato a sparare per le strade. Perché quando non hai più nulla da perdere, ti restano solo disperazione e violenza.

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