martedì 7 giugno 2011

Non beviamola (potrebbe essere salata)

Per chi volesse approfondire sul tema della privatizzazione della gestione dell'acqua prima del referendum di domenica, propongo questa chiara e illuminante intervista raccolta dall'agenzia stampa Asca. Buona lettura.
Il decreto Ronchi, il sistema idrico italiano e il prossimo referendum. Questi i temi che Margherita Ciervo, autrice del libro ''La geopolitica dell'acqua" e ricercatrice presso la facoltà di Economia all'Università di Foggia, affronta con l'Asca per analizzare la situazione del Belpaese e discutere della rilevanza dei quesiti che gli italiani voteranno. Ciervo collabora con il Bollettino della Società Geografica Italiana, ha svolto attività di ricerca in diversi paesi del Sud America ed è membro del Comitato italiano del Contratto mondiale dell'acqua.

Perche' ci si ritrova a parlare di geopolitica dell'acqua? 
Quando parliamo di politica, parliamo di gestione del potere. Geopolitica dell'acqua vuol dire andare a vedere chi ha il potere sull'acqua, chi la controlla, esaminando l'accesso all'acqua potabile a diversi livelli di scala geografica: mondiale, europea, italiana e regionale, dai servizi idrici alla cosiddetta industria dell'imbottigliamento per arrivare all'utilizzo nelle attività produttive. Si tratta di capire, da una parte, cosa sta accadendo, perché dai paesi industrializzati al sud del mondo, da circa 20 anni, ha fatto capolino il fenomenmo della privatizzazione, che ha riguardato tutti i governi dalla destra alla sinistra. Dall'altra, bisogna esaminare la realtà, i dati che mostrano alcuni risultati in termini economici per gli utenti, in termini sociali, con il rischio della negazione del diritto all'acqua, e anche aziendali, con una diminuzione degli investimenti ovunque si sia aperto alla gestione in forma privata. Viene detto che con la privatizzazione si diminuiscono i prezzi, ma non è vero, che aumenta l'efficienza e non è vero e che aumentano gli investimenti, e non e' vero neanche questo.

Parliamo della situazione italiana. Come funziona il mercato dell'acqua nel Belpaese? 
In Italia l'acqua in quanto sostanza appartiene al demanio pubblico, parliamo dell'acqua che scorre sotto e sopra la terra. Quella che è stata privatizzata è la gestione del servizio idrico: la fase di captazione, depurazione e distribuzione, quindi la funzione sociale dell'acqua. Fin quando resta nel pozzo piuttosto che nel fiume l'acqua è pubblica, ma noi per poter bere e lavarci dobbiamo avere quelle tre fasi. Andare a privatizzare queste fasi vuol dire privatizzare la funzione sociale dell'acqua consegnandole alla politica del profitto. Ci sono delle differenze sostanziali perche' se la gestione e' pubblica si carica sulla tariffa solo la cifra dell'investimento, se è del privato sulla tariffa bisogna metterci i costi, gli investimenti e la remunerazione del capitale, al centro del secondo quesito del referendum. Con il decreto Ronchi, poi convertito in legge, è stato stabilito che i servizi idrici debbano essere gestiti da società per azioni ad intero capitale privato, o capitale misto pubblico-privato. In casi eccezionali possono essere gestiti da società per azioni ad intero capitale pubblico. Ma bisogna, ed è fondamentale, ricordare che la Spa, a prescindere da chi possegga il capitale, è una società commerciale e risponde, ancora prima che alle leggi, all'articolo 2247 del codice civile che ne stabilisce l'obiettivo: "con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili", ovvero fare un utile e dividere i dividendi tra gli azionisti. Quindi se l'acqua è del privato, del pubblico o una parte del pubblico non cambia niente e questo e' il motivo per cui dove in Italia la gestione è passata alle società per azioni le tariffe sono aumentate, gli investimenti si sono ridotti e i consumi sono aumentati: lo obbliga la legge. E' una legge economica confermata anche dal rapporto 2008 del Coviri, oggi Conviri, (commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche), che facendo indagini su dati Istat e gli Ato ha rilevato un aumento consumi, un aumento delle bollette, nonché contrazioni negli investimenti. D'altronde, come abbiamo detto, una società per azioni, a prescindere da chi sia l'azionista di riferimento, non risponde all'interesse generale ma a quello privato.

Con quali conseguenze?
Che sulla tariffa bisogna aggiungere, oltre al costo e l'investimento, anche l'utile e se capita che non si paga l'acqua, i rubinetti vengono chiusi senza provvedere ad erogare il minimo vitale.

Ma chi sostiene la privatizzazione però parla di diminuzione delle tariffe e di aumenti di investimenti...
 
Siamo davanti a tre leggende metropolitane come dimostra, insieme a tanti altri, il caso di Arezzo, la prima città in Italia a privatizzare. La prima attiene proprio alla diminuzione delle tariffe che, tuttavia, non si è mai realizzata a seguito di una privatizzazione. Infatti, essendo il servizio idrico un monopolio naturale, il prezzo non è determinato dalle regole della concorrenza ma imposto dal monopolista e, nel caso di un'impresa privata, la tariffa, come abbiamo detto, deve coprire non solo i costi di esercizio, ma anche gli investimenti e gli utili. Inoltre, la massimizzazione del profitto spinge l'impresa a estendere i servizi solo se c'è convenienza economica, vale a dire se i ricavi sono superiori ai costi. Tale meccanismo induce ad attuare politiche da un lato di incentivo dei consumi e/o di aumento dei prezzi, dall'altro di riduzione dei costi di gestione penalizzando gli utenti a reddito basso o le cui abitazioni siano localizzate in territori isolati o demograficamente 'irrilevanti'. Gli effetti economici si trasferiscono nella sfera sociale determinando una diminuzione del potere di acquisto e, in caso di morosità, il distacco della fornitura di un bene vitale.

E questa è la prima leggenda, le altre due?
La seconda leggenda concerne l'aumento generalizzato delle tariffe come politica di risparmio idrico. In realtà, essendo l'acqua un bene essenziale, la sua domanda per la soddisfazione dei bisogni primari e' rigida e, dunque, poco sensibile alle variazioni dei prezzi, con la conseguenza che difficilmente un aumento del prezzo anche cospicuo ne contrae il consumo. Il risultato è, piuttosto, quello di ridurre il potere di acquisto degli utenti più poveri. Del resto, se il profitto è l'obiettivo di gestione, una contrazione della domanda non può che ripercuotersi sulle tariffe determinandone un aumento, come accaduto a Firenze dove la diminuzione dei consumi di circa 13,8 milioni mc (dovuta a una campagna per il risparmio idrico) ha ridotto le entrate di circa 30 milioni di euro e Publiacqua (SpA a capitale misto) ha incrementato le tariffe del 9,5% (www.acquabenecomune.org). Infine, la terza che riguarda la necessità di privatizzare per aumentare la disponibilità finanziaria per gli investimenti. In realtà, la maggior parte degli investimenti sono coperti dalle tariffe e, comunque, nel caso di gestioni private risultano piuttosto contenuti e, a volte, finanche inferiori a quanto previsto nei contratti.

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