martedì 19 aprile 2011

Specchio Riflesso - 19 aprile

Torna anche oggi la rubrica che nessuno aveva chiesto, ma di cui ormai tutti sentono il bisogno: da anni torinesi e non scrivono a "La Stampa", le lettere vengono selezionate e impaginate nella rubrica "Specchio dei Tempi" ma nessuno dà loro una risposta... adesso ci pensiamo noi.






Una lettrice scrive:
«Domenica arrivando dall’autostrada Torino-Milano e percorrendo Lungo Stura Lazio ho pensato all'impressione di degrado che può trarre un forestiero alla vista di erbacce, immondizia sparsa, baracche abusive, cassonetti non svuotati, e di tutto di più...!
«L’abbandono lasciato dall’Amministrazione mi è parso evidente. Sono arrivata a casa con il cuore gonfio di tristezza.
«La nostra bella Torino, quella di un tempo, non c’è davvero più».
L. LUGA

L. la tua bella Torino non ci sarà davvero più, ma devo avvertirti, mi sa che lungo stura Lazio non faceva parte della bella Torino neanche a quei tempi.

Una lettrice scrive:

«Lo scorso mese di gennaio ricorreva il ventennale della morte del mio caro papà e per l’occasione avevo deciso e prenotato per tempo una santa messa di suffragio presso il santuario della Consolata di Torino, al quale mio padre era devoto e dove fin da piccola mi portava a pregare.
«Per la ricorrenza avevo riunito i famigliari e i parenti per un momento di raccoglimento. Con sorpresa di tutti e soprattutto mia durante la messa domenicale delle ore 10, da me regolarmente pagata con tanto di ricevuta, non veniva menzionato il nome del defunto. Al termine della messa mi sono recata in sacrestia per chiedere chiarimenti e mi è stato risposto in tono sufficiente e distaccato che “durante le messe della domenica non si dicono a voce i nomi dei defunti” e che comunque il sacerdote che aveva officiato aveva letto tutte le intenzioni presenti sul foglietto e quindi la messa era stata detta anche per mio padre, bastava “l’intenzione”. Ho obiettato che sarebbe stato più corretto informarmi della prassi al momento della prenotazione a pagamento della messa, in modo da permettermi di scegliere o no se far dire messa presso il santuario o in altra chiesa o in altro orario, e per risposta ho ricevuto un’alzata di spalle».
M. P.

No, però dai, no, M.P., perdonami, ma dimmi che non è vero, dimmi che stai cercando anonimamente di scoperchiare questa orrida compravendita di messe e name dropping e racconti questa storia di terza mano perché ti ha disgustata. Altrimenti spiegami, la messa della domenica alle 10 non la fanno sempre? Perché l'hai pagata tu? E poi davvero, da brava cristiana ti dovrebbe bastare l'intenzione, ti dovrebbe bastare ricordare tuo padre nei suoi gesti, nei tuoi ricordi e nelle tue preghiere, mica ti dovrebbe importare che il nome sia stato detto o meno, certo, se era quello che volevi puoi ritenerti truffata, ma più che truffa a me sembra circonvenzione d'incapace e poi, se invece l'unica cosa che ti importava era il nome, beh, allora La Stampa vende anche le pagine di pubblicità.

Una lettrice scrive:

«Si parla tanto di bar storici e di tradizioni. Vorrei raccontare un episodio riguardante la Ditta Querio di via Cernaia.
«Nel lontano 1893 mio nonno paterno, che era pasticciere e confettiere, prese il secondogenito dei suoi figli che aveva allora undici anni e lo portò dal suo amico d’infanzia e di apprendistato che aveva aperto la confetteria in via Cernaia, affinché prendesse mio zio Pierino e gli insegnasse l’arte del pasticciere-confettiere.
«Mio zio di sera, poi, avrebbe continuato gli studi.
«Il signor Querio esaminò il ragazzino e poi disse in piemontese a mio nonno: “Dato che tra di noi c’è una lunga amicizia prendo nella mia ditta il ragazzino e non gli faccio pagare l’apprendistato”.
«Mentre mio nonno con il suo figliolo stavano per uscire dalla confetteria il signor Querio li richiamò e disse testualmente: “In nome della nostra amicizia, in via del tutto eccezionale, darò al ragazzino tutti i giorni un piatto di minestra”. E così fece.
«Mio zio aprì poi nella città di Genova una confetteria e fabbrica di caramelle che a quei tempi divenne molto quotata.
«Quando veniva a Torino scriveva alla mia mamma: “Cara cognata, il giorno tale con mia moglie sarò a Torino e verrò a mangiare da voi. Ti prego di non farmi trovare minestra di cavoli e rape”.
«Questo era il piatto di minestra che mio zio, apprendista, mangiava quasi tutti i giorni.
«Mio zio Pierino però ricordava i preziosi insegnamenti che il signor Querio gli aveva impartito quando lui era apprendista e lo ricordava con tanto affetto e simpatia».
ANNA MARIA RASETTI PASTORELLO

Eh, Anna Maria, e quindi? Perchè lo racconti a noi? Raccontalo ai tuoi nipoti quando cucite una coperta tutti insieme attorno al fuoco. Raccontaci almeno che poi tuo zio invece i suoi apprendisti li vessava, dicci qualcosa che ci faccia arrivare vivi alla fine della lettera, per il resto son d'accordo con tuo zio, la minestra di cavoli e rape fa cagare anche me.

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